Carissimi divoratori di colazioni, ormai vi siete lasciati alle spalle i bagordi alcolici dello scorso fine settimana, quindi, senza correre il rischio di farvi tornare il croissant su per la gola, posso parlarvi di quella volta in cui un bel tizio barbuto si avvicinò al bancone ordinandomi un Aperol Spritz. Io aborro lo Spritz. Quel signore lì, però, non lo aborrivo e non lo aborro affatto – tutt'altro. Così nella testa mi partì un pilotto assurdo sul come uno come lui potesse avermi ordinato una brodaglia del genere. Feci un casino con la bottiglia del prosecco e mi presi dell'imbranata dagli astanti. Il barbuto - lo avete letto già nel titolo - era Umberto Palazzo. Sul quale non c'è bisogno di fornire Bignami introduttivi. E al quale, nella breve intervista che segue, ho dimenticato di chiedere se abbia finalmente smesso di bere Spritz.
Canzoni della notte e della controra è il tuo primo disco solista e il primo lavoro su cui hai avuto un controllo pressoché assoluto, a differenza dei precedenti con Il Santo Niente - prodotti da Marco L. Lega (La vita è facile, 1995 e Occhiali scuri al mattino, 2004), Fabio Magistrali (Il fiore dell'agave, 2005), Giorgo Canali (Sei na ru mo'no wa na'i e Crossfader, 1997). Leggo sul libretto di Canzoni che te lo sei «scritto, suonato, cantato, registrato e miscelato da solo». L'autonomia di cui oggi godi è frutto di una scelta cercata?
Mi finanzio da solo, quindi nessuno può avere niente da ridire. La libertà creativa l’ho sempre avuta, non sarei rimasto un solo giorno in una situazione creativamente non libera. Pensa solo che Sei na ru è un disco uscito su major nel ‘97 e pensa a che suono estremo ha. L’idea ai tempi era di portare nell’ambito delle major una musica più aggressiva e con elementi di ricerca. Volevamo cambiare la musica italiana e su questo eravamo tutti d’accordo, produttori artistici inclusi. Ora succede il contrario: sono gli indie che scopiazzano i suoni della musica di massa degli anni ‘90. I pochi spazi che avevamo aperto, la cultura di massa se li è ripresi con gli interessi. Non c’è mai stato così poco spazio per ciò che si propone come un’alternativa di qualità alla cultura di massa e la mentalità esclusivamente mercantile che la sostiene. Viviamo in un’epoca di restaurazione e controriforma.
Quanto è stata diversa la gestazione dell'album solista rispetto a quella dei lavori corali?
Totalmente opposta. Gli album fatti con una band sono basati sull’interplay, cioè sul’interazione che i musicisti hanno mentre suonano, che è quello che fa la differenza fra una buona rock band ed una falsa rock band. Un album registrato interamente da solo è sostanzialmente un album elettronico, anche se ha un suono retró, e come tale va lavorato, cioè basandosi sulla precisione dei frammenti.
Canzoni, così come lo hai realizzato, corrisponde alla tua idea originaria dell'album?
Possiamo dire che corrisponde esattamente all’atmosfera che avevo in mente. Le opere d’arte troppo pensate in genere vengono malissimo: bisogna essere recettivi nei confronti dell’ispirazione a costo di buttar via tutto quello che s’era fatto.
I brani dell'album sono attraversati da una peculiare rielaborazione concettuale e visiva de I Basilischi, film di Lina Wertmüller del 1963. Tu stesso hai illustrato l'esegesi del sottotesto di tutto altrove. Anche se non si dovesse aver presente il film, tuttavia è chiaro ciò che vuoi veicolare con il termine controra. La pellicola spiega il concetto per mezzo della voce fuori campo che ne dà una definizione da manuale, con un didascalismo che a te non appartiene. Ciò che si nasconde nell'album esce fuori da sé, senza macchinismi guidati.
Premesso questo popo' di roba, ora ti faccio una domanda che sembra starci come i cavoli a merenda. La tua esperienza di docente di Storia della Popular Music al Conservatorio Luisa D'Annunzio di Pescara, l'insegnamento in vari seminari musicali, il costante confronto sul panorama musicale - vedi la tua bacheca Facebook... Canzoni è in qualche misura connesso alle tue parallele attività didattiche?
Io adoro insegnare e la trasmissione del sapere è una delle occupazioni più nobili che ci possano essere, ma va effettuata nelle sedi giuste e con i mezzi adatti. Si può e si deve trasmettere sapere a scuola, facendo radio e parlando di arte e cultura sul web o sulla carta stampata. Ma per quello che riguarda i dischi non c’è nessun intento didattico né didascalico. Come si usa dire la buona arte si distingue da quella cattiva anche perché non cerca mai di fornire delle risposte, ma crea delle nuove domande. Canzoni della notte e della controra è un disco che non ha precedenti e in quel senso può essere utilizzato da chi cerchi delle idee nuove, ma il suo fine è quello del piacere nell’ascolto, non dell’insegnamento.
Quanto del tuo “slancio didattico” entra in gioco nelle vesti di dj Umberto Palazzo?
Se fossi un dj radiofonico ce ne sarebbe tutta l’occasione, ma per quanto riguarda le serate da ballo non ci sono margini in quel settore.
Ha senso per te parlare di educazione all'ascolto dalla console?
Se sei in un bar e fai puro ascolto può essere possibile, ma non è detto. Se sei il dj di una serata da ballo il tuo compito è sicuramente far divertire il pubblico, non educarlo. Puoi scegliere il miglior compromesso fra la qualità e il successo, ma si tratta di lavoro nell’ambito di un’impresa privata, un lavoro che consiste solo ed esclusivamente nel far ballare sempre il pubblico, senza interruzioni. Se non tieni la pista costantemente piena il tuo posto verrà presto preso da un altro che ovviamente farà cose più commerciali, perché chi organizza serate a livello professionale ha come fine il profitto e contestare a un imprenditore che gli interessi il profitto è un po’ sciocco perché è una cosa ovvia. Il lavoro del dj non è così nobile come a volte si teorizza e può rivelarsi anche piuttosto umile. Se poi lo fai per hobby e t’interessa solo mettere musica per i tuoi amici è un’altra cosa e ti puoi sbizzarrire quanto ti pare, ma a livello professionale non c’è peggior dj di quello che vada in console per sfoggiare la sua collezione di dischi e per educare il popolo. In genere la sua carriera dura due pezzi e mezzo.
In che misura il pubblico è ancora disposto a mettere in gioco il proprio gusto e i propri paletti?
Non è affatto disposto. Chi viene a ballare lo fa per divertirsi, bere e trovare compagnia nel posto che gli piace, con la gente che gli piace e la musica che gli piace, quindi con la musica che già conosce. Nessuno va in un locale a spendere soldi per rimettersi in discussione e istruirsi.Il lavoro va fatto con gusto e l’unica differenza di qualità la fa il gusto, ma, se non fai ballare, come dj quel locale non ci torni più. Ci sono però delle cose che bisogna sapere. La prima è che non tutti ballano, perché non a tutti piace ballare. Quelli che non ballano non sono di competenza del dj, che è in console per i ballerini, non per gli ascoltatori. La musica del dj è diretta a loro ed è con loro che il dj interagisce. L’altra è che non tutti i pezzi sono ballabili, come si fa a sapere quali sono i pezzi ballabili? Molto semplice: si prova a ballarli. I dj a cui non piace ballare sono come dei ciechi che dipingono: non sanno quello che fanno. L’altra ancora è che, tranne rare eccezioni di persone particolarmente dotate di ritmo e coordinazione, la gente balla solo i pezzi che conosce o i ritmi che conosce. Il ritmo che conoscono tutti è quello tipico dell’house, un battere e un levare ripetuti all’infinito senza variazioni. Un pezzo che invece abbia una struttura completa riserva sorprese ritmico-armoniche e funziona solo se la pista lo sa interpretare perché lo conosce. Un pezzo nuovo, anche eccezionale, svuota inevitabilmente la pista ed è una cosa che il dj si può permettere poche volte all’anno.
Io non suono mai la mia scaletta ideale, perché se lo facessi non ballerebbe nessuno. Per esempio, negli ultimi mesi propongo, nei club alternativi, Bizness di Tune Yards che è il pezzo dell’anno scorso che preferisco ballare. Gli esiti sono inevitabilmente disastrosi, quindi lo metto in prima serata o in estrema chiusura quando sono tutti ubriachi e la soglia della tolleranza si abbassa di molto. Un’altra cosa ancora è che il dj deve capire chi ha di fronte e fare una media del gusto e deve essere cinico. Può solo tenere la media qualitativa più alta possibile perché la pista sia piena. Se cerca di accontentare quelli che hanno il gusto migliore è spacciato, perché logicamente i migliori sono pochi e quindi la pista rimane vuota.
Dunque è comunque puro intrattenimento.
Assolutamente sì. Io sono un musicista e già mi sacrifico abbastanza per quello che creo, che è in perdita perenne. E comunque non possiedo nulla di mio. Sopravvivo.
Da quanto tempo metti dischi come dj?
Da più di vent’anni, ho iniziato a Bologna nei centri sociali e poi organizzando feste illegali sulle spiagge e in campagna.
Giorni fa spiegavi su Facebook come a Milano la SIAE non avesse trovato neanche un dj che fosse in regola, e come i giornali avessero liquidato il tutto come l'ennesimo caso scandaloso di evasione. In realtà, scrivevi, la cosa è un'altra. La SIAE vuole 254 euro l'anno per autenticare le copie usate in console - copie dei brani già comprati regolarmente come supporto fisico o come file liquido. Quindi in sostanza la SIAE esige il pagamento del copyright per ben tre volte: oltre al primo pagamento all'aquisto, ce n'è un secondo da parte del locale in cui suona il dj, e un terzo per autenticare le copie di cui prima... Ora, questo è solo l'ultimo episodio di una vera e propria class action che da te ha preso il là e che vuole contestare e fare luce su alcuni meccanismi a tuo dire – e non solo tuo - discutibili e poco chiari imposti dalla SIAE.(Per chi non conoscesse la questione - ne hanno parlato, tra gli altri, anche Il Fatto Quotidiano e La Repubblica.it - rimandiamo al gruppone FB che ne descrive le tappe e la storia, repliche SIAE e controrepliche degli autori incluse. In particolare ciò a cui Palazzo si oppone è la modalità penalizzante i ''minori'' - in termini di movimento di denaro - con cui la SIAE ripartisce i proventi dei cosiddetti borderò, vale a dire delle fatturazioni derivate dalle attività di musica live.)
A parte il discorso dj, il problema SIAE ti riguarda soprattutto in quanto autore. Dall'inizio dello scorso autunno in poi sei stato in giro a promuovere Canzoni della notte e della controra, e ancora stai portando la tua ultima fatica ovunque. Quante date hai fatto finora, dove possiamo vederti suonare e chi possiamo contattare per averti dal vivo?
Ne ho fatte una ventina, che in quattro mesi non sono neanche poche, ma la mia popolarità non è assolutamente paragonabile a quella di una piccola indie star come può essere una Maria Antonietta o un Colapesce. In genere i locali neanche mi rispondono alle mail. Bisogna avere fortuna per beccarmi, ma potrei capitare nel bar vicino a casa vostra. È piuttosto difficile vedermi nei locali maggiori del circuito indie, ma non per mia scelta. Curo personalmente il booking, non ci sono agenzie interessate.
Rispetto all'esperienza live con una band, come ti trovi a gestire il palco da solo? E qual è la tua percezione di chi viene ad ascoltarti?
C’è quasi sempre Sandra Ippoliti, ma a volte sono da solo. Prima di iniziare questo tour ero abbastanza dubbioso della mia resa in solitaria, poi mi sono concentrato sull’aspetto tecnologico della faccenda e ho ottenuto un risultato ottimale, anzi secondo me ottimo. La tecnologia è molto importante in questo spettacolo. Se il pubblico sta zitto ho di lui una percezione ottima
A questo punto in teoria dovrei aggiungere una bella frasetta di commiato per chiudere il pezzo. Ma mi sa che ci sta meglio un: “pubblico, statti zitto e ascolta”. Ne vale la pena.