Se tutto ciò si potesse riassumere in una parola, non sarebbe diverso da Delusione.
Forse troppa l'attesa, troppa l'aspettativa, forse troppo geniale l'ultimo album, troppi gli anni senza un live, troppi i ricordi, le emozioni, i momenti che avevano come sottofondo le loro note, le loro parole. E ancora è forse troppo attendere tutta settimana, lavorare, vivere, aspettare il sabato per assistere ad un loro concerto, il primo dopo lunghi anni d'astinenza. È come rivedere una vecchia amante che non vedi da anni, bramarla, desiderarla e finalmente averla. Per poi accorgersi che tutto è diverso, che tutto è cambiato. E poi ti ritrovi “...solo, qui, alle quattro del mattino, l'angoscia e un po' di vino e voglia di bestemmiare.” Con questa citazione semi colta, reprimo ogni commento, o forse lo rimando, ed inizio la cronaca di quel che è stato.
Mi appropinquo al locale ad un orario improponibile, addirittura presto per l'aperitivo, con la certezza di conquistarmi la prima fila. Vedo la ressa al di fuori, il che mi fa già agitare. “Stai tranquillo” mi dico. Ed infatti...già accatastati nelle immediate vicinanze del palco, una serie di giovanotti a cavallo della maggiore età, occupava i posti che mi ero già convinto di avere per diritto (quanto meno come premio fedeltà). Pianto radici, temendo di giocarmi la posizione duramente guadagnata. Dopo circa due ore di attesa, entrano i componenti del gruppo spalla: i Torquemada. Niente affatto male, ma lo scarso interesse è dato dall'attesa per il dopo. L'attesa è molta, palpabile, urla e fischi chiedono l'ingresso dei tre (anzi quattro). Luca con pantaloncino poco più lungo di un paio di boxer, Roberta rossa fiammate e Alberto, accompagnati da un quarto, Omid Jazi dice Wiki, di cui fino ad allora ignoravo l'esistenza. Alberto si siede alle tastiere intonando dei versetti senza senso, seguito da Roberta con il giro di basso di Adoratorio. É un'espolsione! Tutta l'attesa è valsa a qualcosa, e non credo di essere l'unico con questo pensiero. Poi Scegli me, e mi sento quasi commosso, essendo una delle canzoni che non avrebbero potuto mancare, nella mia personale lista. I quattro, vistosamente emozionati, dopo i consueti ringraziamenti, riprendono con Per sbaglio, subito seguita dall'intro beatlesiana distorta di Rossella roll over. È un tripudio, spinte da destra, da sinistra, da dietro, mi sento in balia di un mare di persone che non immaginavo si potessero stipare in un locale. Fatico a reggermi sui miei piedi, equilibrio precario che inizia ad infastidirmi. Stupito dal ripescaggio che sa tanto di “facciamo un pezzo che non ha mai cagato nessuno” inizia Il tramonto degli stupidi, presente sul lato D del 12” di Solo un grande sasso. Un'abitudine dei Verdena (e non solo loro) proporre pezzi solitamente fra i meno conosciuti, alternati ad altri di immediato impatto, com'è la successiva: Non perdere l'acme, Eugenio. Ormai al ventesimo o forse più concerto a cui assisto dal lontano 1998, mi sembra di conoscerli come dei cugini alla lontana. A questo punto Alberto ruba il Gibson EB-3 di Roberta, la quale passa al sinth, ed introduce Badea Blues; ma dura poco ed il LA se ne va, tanta è l'irruenza scagliata contro il povero basso, subito sostituito con il classico Rickenbacker. La reazione a questo pezzo? Totale delirio, il che mi fa anche intimorire dalla violenza con cui vengo scagliato a desta e a manca senza senso e controllo alcuno. Riprendo un attimo fiato e conoscenza chiedendomi “dove cazzo sono finito” sentendo le rassicuranti note di Nuova luce. Ma dura poco e con Lui gareggia rimpiango di non essermi defilato appena c'era stata la possibilità. Mi chiedo, e mi convinco, che sono io ormai troppo vecchio per concedermi il lusso del pogo, senza riportarne danni a livello lombare, che immagino perdureranno per tutta la domenica. Ma non c'è tempo per pensare in quanto lo sballottamento continua se possibile ancor più violento con Caños e poi ancora con Spaceman, e poi ancora con Muori delay. Il mio zen è rotto, come buona parte delle mie articolazioni e lo sdoppiamento di personalità inizia a lambire il mio cervello. Mi chiedo che cazzo di senso abbia continuare a spingersi, saltare addosso all'immediato vicino (che condivide con te i 30 cm² gentilmente concessi), con inaudita violenza soltanto per poter dire io c'ero, io ho pogato al concerto dei Verdena. Se devi sfogarti fallo nel modo che ritieni più opportuno, non so datti al Kick boxe o una partitella di rugby con gli amici, ma non rompere i coglioni altrui. Prima di essere etichettato come un pensionato untore (il che probabilmente è vero), vorrei precisare la totale sregolatezza del pogo contemporaneo, più visto come atto di violenza che come condivisione, ben distante da quelli della mia fanciullezza.
Sono calmo, sono calmo, Jekyll ritorna in me, seguito o meglio anticipato dalla chitarra acustica di Alberto, che fa tanto spiaggia, estate, Castelli per aria. E poi fermo immobile, inizia Canzone ostinata ed anch'io, come il nostro cantore, mi chiedo se tornerà la clorofilla. Con questo dubbio, un po' di magone e la calma ritrovata, parte Razzi arpia inferno e fiamme, primo singolo estratto da Wow che personalmente è quella che meno preferisco dell'ultimo magnifico regalo del il trio bergamasco. Come un battito, esaltato dalle note di basso, parte Miglioramento, e l'ultimo impeto da comunista deluso si fa avanti, che è poi l'ennesima constatazione della lenta quanto inesorabile avanzata del tempo, non solo per le ideologie, ma anche per i Verdena. Che cosa significa tutto ciò? Che tutto è cambiato? Che tutto è diverso? Che quelli che li seguivano al tempo di Verdena o di Solo un grande sasso, ormai sono sposati con figli, mentre i ragazzini che ora affollano i loro concerti, al tempo giocavano con i Pokémon?
Forse non bisogna ascoltare la propria mente a favore della musica. Ma c'è qualcosa anche in loro, che dopo un'ora e mezza di concerto inizia a palesarsi. Qualcosa di impalpabile che non so spiegarmi nemmeno col senno di poi.
Riprendendo la cronistoria del concerto, è l'ora dell'introduzione di Le scarpe volanti. Le prime note della successiva canzone (Ovunque) mi riportano al passato, alle scritte sugli zaini: è buio ormai, non mi frega se piangi o no... Solo un insieme di emozioni, soltanto il rimpianto del tempo che fu, può portare sulla pelle e mi rimane impressa la frase: che male fa rivedermi in me. È un caso?
È chiaro che ci si avvicina al finale, con pezzi movimentati in rapida sequenza, infatti ciò che segue è a mio avviso il singolo mancato. Loniterp che live devo ammettere acquisisca ancora più energia. Poi Isacco nucleare, seguito da una chiusura che ti verrebbe voglia di abbracciarti con l'immediato vicino: Morbida.
I quattro escono ed inizia il solito balletto tra fischi e “fuoriii” che non devono insistere per molto. Il rientro è segnato da Sorriso in spiaggia pt. I e II, seguita da Il gulliver che suscita in me lo stesso sentimento di malinconia di Ovunque comprensivo del rimpianto per le canzoni di 12 minuti.
È veramente la fine (del concerto) suggellata dalle triste ritmo di Lei disse (un modo del tutto differente). Altro caso?
La sensazione finale? Delusione. Delusione dalla fredda e quasi asettica esecuzione, assolutamente perfetta, ma non è quello a cui ero abituato e di cui avevo bisogno. Raccolgo ciò che di me si era sparso sul pavimento e me ne vado, con in testa una grande confusione. Perché non si può giudicare male un concerto che effettivamente non ha molto da criticare, e l'unico rancore è ciò che non mi ha dato.
Finalmente liberato da quel senso di occlusione (soprattutto fisica) che porta lo stipamento di un numero esoso di persone in un luogo che effettivamente potrebbe contenerne molte meno. Ma si sa la logica del 10€ in più, tanto chissenefrega è sempre quella che trionfa...
Foto Album
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