Esistono posti in cui se non ti ci porta qualcuno, non ci potresti mai arrivare con le tue forze. Definiamoli posti, in quanto una qualsivoglia etichettatura parrebbe fuori luogo. Sto parlando dei concerti organizzati dai fratelli Giuradei nella loro taverna. Dei fratelli in questione è stato parlato poco tempo fa dal nostro amico Burro in occasione di un loro concerto. Ora sono i due bresciani ad organizzarne e ad aprire le porte della loro casa, in modo saltuario, ad un piccolo pubblico, facendo salire sul palco amici trovati lungo le strade della penisola. Serate con un fascino unico, di cui le informazioni giungono tramite il passaparola o per mezzo di inviti su Facebook. Le indicazioni sono precise ed accurate e nonostante questo sono riuscito a perdermi fra le torbiere del basso Sebino. “Alla quarta rotonda parcheggia all'Hotel Lamosa, Attraversa dinnanzi alla pizzeria Antica Fontana, passa dietro la pensilina dell'autobus ed imbocca una stretta stradina semi asfaltata che ti porta sulla sommità di una collinetta morenica, al civico n° 5 devi suonare taverna”. Eccoci arrivati. Ettore mi da il benvenuto, presentandosi e stringendomi la mano, come un vero padrone di casa. Il piccolo banchetto di Chianti & pop corn fa lo stesso. Si ha la sensazione della festa privata, ma senza il rituale “ma tu chi cazzo sei?”
Un'atmosfera molto accogliente ed al contempo intima, difficile da ritrovare al di sopra del Po. Se ci sei nato, alla fine ti ci abitui all'endemica inospitalità padana (ogni riferimento non è puramente casuale). Ma qui par diverso, sembrano tutti amici, par d'essere in un non-luogo distante anni luce dai concerti ospitati nei locali. Sembra una delle serate che amo tanto: amici, camino, un bicchiere di vino e una chitarra. Chi si esibisce questa sera è Stefano Vergani, già vincitore del premio Tenco 2004 come migliore artista emergente. In verità vi dico che non lo conoscevo affatto, se non per le poche canzoni udibili dal suo Myspace (che tra l'altro non mi avevano entusiasmato). E devo ammettere che ne son rimasto piacevolmente sorpreso. Voce molto intensa, carica; c'è chi lo assimila a Fossati, anche se a me ricorda qualcun altro...il dubbio persiste. Chi lo accompagna è Felice Cosmo al piano, incastrato fra la parete e lo strumento, e Luca Butturini alla chitarra. I tre presentano il nuovo album: E allor pensai che mai, terzo lavoro del cantautore milanese che arriva quattro anni dopo Chagrin d'Amour.
Dopo un inizio molto buono a livello musicale, i tre si lasciano andare ed è una serie di battute, di scherzi, che trasformano il palco in una sorta di cabaret domestico. L'atmosfera ne è complice, fra i fiaschi di vino che scorre come acqua, le battute che provengono dai padroni di casa, la distanza (non solo fisica) fra i musicisti e il pubblico che sembra non esserci – la distanza intendo... Inizio buono dicevo che però mi fa pensare ad un “già visto”, molto in linea con quel cantautorato fatto alla lombarda che mi piace tanto: grande senso narrativo, storie d'amore con quel pizzico d'ironia alla Capossela, a cui direi che Stefano assomiglia parecchio nella presenza scenica. Qualche rimando pure a Jannacci, soprattutto per quel dialetto milanese presente in alcune canzoni. Ma è quando si toglie la chitarra e iniziano le note di Alle prese con una verde milonga che tutto è palese. Chiudo gli occhi e mi sembra di ascoltare l'originale, il timbro, le pause, lo stile. Il che mi soddisfa parecchio dato che all'ultimo concerto di Paolo Conte a cui sono andato, mi sono ripromesso che mi sarei limitato all'ascolto domestico. Pensando e ripensando, però c'è qualcosa di più sotto. Non è solamente pura citazione nozionistica del glorioso passato della canzone d'autore lombarda (non che ora sia da meno è solamente meno conosciuta), dietro c'è tanta poesia e delicatezza che si, possono rifarsi ad un determinato modo compositivo, ma sono al contempo molto apprezzabili, lontano dall'esser demodè.
Continuano le canzoni ed il pubblico a fare da coro. Tutto ciò mi ricorda le serate nelle case di montagna: partono le canzoni e tutti che seguono. Il tripudio è uno dei tanti finali (ehmm non ricordo bene quale, in quanto il bis è diventato tris, poi full, poker, scala...), con Perdere l'amore cantata in modo molto giocoso, con tutti, ma proprio tutti a far coro. Dopo più di due ore di concerto, in cui la voce non ha perso nemmeno minimamente forza e vigore, Stefano Vergani si congeda, scendendo dal palco e unendosi al pubblico. Ma non lo aveva già fatto?
Foto album
mr_n
Nessun commento:
Posta un commento