In uscita il prossimo 25 maggio il terzo full-length dei ferraresi Devocka, in streaming integrale esclusivo per The Breakfast Jumpers fino a domenica 27 maggio inclusa.
La morte del sole si divide fra solide sonorità post-rock hardcore e desolati paesaggi che appartengono alla migliore new-wave italiana dei primi anni '80. È un lavoro scomodo, come sono scomodi i suoni e le parole che sanno arrampicarsi a forza dentro le orecchie, e spingere senza chiedere permesso per penetrare in testa e scarnificarti. Questo è un album che si trova sul liminare contradditorio che divide impulsi agorafobici e claustrofobici; siamo in terra kubrickiana, fra Nietzsche, post-modernismo e uomini che rinunciano - impotenti o indifferenti - alla facoltà di scegliere e agire, riducendosi più o meno alla condizione di un'Arancia meccanica.
La morte del sole è carica che dirompe in energia furiosa, è un lampo di coscienza su un fisiologico e imperante squallore. Non c'è la lotta, perché non c'è l'antagonista; c'è la necessità degli elementi, l'essenza che preme e si infila prepotente fra le fessure di un mondo a pezzi. I Devocka descrivono con limpidezza un'apocalisse insieme intima e metropolitana; il cuore si allarga e inghiottisce l'universo, si sovrappone alle sue macerie. L'amore non è mai stato tanto lontano dalla facciata esteriore che il sentire comune e la prassi sociale gli hanno associato; qui l'amore è il mal d'amore disossato e cruento, quello più umano e sincero, colto nella sua integrità di dolore luminoso, che violenta, strazia e consuma. Così, negli Ultimi istanti «si spengono le luci, si individuano i cuori. L'anello più debole si è spezzato e l'ho raccolto, l'ho messo al dito per non dimenticare... Una miriade di vecchi palazzi che crollano, che crollano sotto la luce del sole».
La morte del sole si divide fra solide sonorità post-rock hardcore e desolati paesaggi che appartengono alla migliore new-wave italiana dei primi anni '80. È un lavoro scomodo, come sono scomodi i suoni e le parole che sanno arrampicarsi a forza dentro le orecchie, e spingere senza chiedere permesso per penetrare in testa e scarnificarti. Questo è un album che si trova sul liminare contradditorio che divide impulsi agorafobici e claustrofobici; siamo in terra kubrickiana, fra Nietzsche, post-modernismo e uomini che rinunciano - impotenti o indifferenti - alla facoltà di scegliere e agire, riducendosi più o meno alla condizione di un'Arancia meccanica.
La morte del sole è carica che dirompe in energia furiosa, è un lampo di coscienza su un fisiologico e imperante squallore. Non c'è la lotta, perché non c'è l'antagonista; c'è la necessità degli elementi, l'essenza che preme e si infila prepotente fra le fessure di un mondo a pezzi. I Devocka descrivono con limpidezza un'apocalisse insieme intima e metropolitana; il cuore si allarga e inghiottisce l'universo, si sovrappone alle sue macerie. L'amore non è mai stato tanto lontano dalla facciata esteriore che il sentire comune e la prassi sociale gli hanno associato; qui l'amore è il mal d'amore disossato e cruento, quello più umano e sincero, colto nella sua integrità di dolore luminoso, che violenta, strazia e consuma. Così, negli Ultimi istanti «si spengono le luci, si individuano i cuori. L'anello più debole si è spezzato e l'ho raccolto, l'ho messo al dito per non dimenticare... Una miriade di vecchi palazzi che crollano, che crollano sotto la luce del sole».
Devocka
La morte del sole
2012
1. Morte annunciata dell'io
2. Non solamente un'apertura mentale
3. L'amore
4. Cagne
5. Questa distanza
6. Morte del sole
7. Croce
8. Carne
9. Carillon
10. Tecnologici
11. Ultimi istanti
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1 commento:
spettacolo puro!
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