Carissimi The Shadow Line, raccontateci qualcosa di voi, da dove venite e che cosa fate nella vita?
Alessia: Siamo quattro ragazzi di Roma (Daniele Giannini, voce e chitarra, Francesco Sciarrone chitarra e tastiere, Alessia Casonato basso, Francesco Stefanini batteria), che prima di tutto e da sempre ascoltano tantissima musica e poi da una decina d’anni propongono la propria. Siamo dei trentenni o quasi, siamo figli di una generazione che è stata più fortunata ed ha raggiunto una ricchezza ed un benessere che non riusciamo ad afferrare, come se la scala sociale avesse cominciato ad andare al contrario. Siamo tutti e quattro dei lavoratori, dividiamo le nostre giornate fra le cose che ci piace fare per guadagnarci da vivere e la musica che ci piace suonare per esprimere quello che siamo, quello che proviamo, quello che viviamo.
Veniamo a questa seconda fatica, I giorni dell’Idrogeno. Che cosa è cambiato rispetto al primo album Fast Century, oltre al cantato (finalmente, aggiungo io) in italiano?
Francesco: C'è stato un intenso lavoro sulle metriche delle canzoni e soprattutto sugli arrangiamenti. Se "Fast Century" era un po' schiavo del sound del periodo in questo nuovo lavoro abbiamo sempre cercato di risolvere la canzone in maniera imprevedibile, per riuscire a catturare l'attenzione dell'ascoltatore. Abbiamo giocato con i suoni, i cambi di tempo, le accelerazioni e i rallentamenti. La frase che più ricorreva in studio era "no, così è troppo facile".
Parlate del nuovo disco come di “un ultimo atto di sfida, di orgoglio, di verità, prima della fine”, (che fra l’altro mi ricorda molto il titolo del libro di Andrea Scarabelli Suonare il paese prima che cada). Qual è il filo conduttore dell’album? Dove ci vuole portare I Giorni dell’Idrogeno? E perché la scelta di questo titolo?
Alessia: Abbiamo pensato che in questo particolare frangente storico non possiamo non fare i conti con quello che sta accadendo là fuori. Presentare un album a livello di contenuti totalmente avulso dalla situazione in cui viviamo giorno per giorno non avrebbe avuto senso: davvero abbiamo ancora bisogno di canzoni che parlano del mare, del sole, di tutte le banalità del pop italiano da classifica? I Giorni dell’Idrogeno è la cruda foto di un sentimento diffuso che vediamo fra i trentenni nostri coetanei: un misto fra rassegnazione, rabbia, speranza e disillusione, così come l’idrogeno può diventare acqua elemento vitale, se combinato con l’ossigeno, allo stesso modo può essere esplosivo, bruciando questo ossigeno, e per noi sta a rappresentare un futuro prossimo che non sappiamo ancora come sarà, se sarà una deflagrazione o se scorrerà via come acqua. Quelle che raccontiamo noi sono le basi di un cambiamento che speriamo sia molto vicino.
In realtà le vostre canzoni, mi sembrano mosse da un misto di malinconia, paura di non farcela, ad un desiderio di realizzarsi per quello che si vuole essere, e questa continua oscillazione dei testi, unita invece a dei suoni decisi, diretti e d’impatto molto forte, è ciò che vi rende più affascinanti, più veri, e più condivisibili da molti ascoltatori. C’è più disillusione o più speranza, in voi, in questo momento?
Alessia: Diciamo…a giorni alterni. Andando avanti con gli anni abbiamo dovuto ridimensionare tutte le nostre aspettative, i sogni, i traguardi, sia come persone, sia come band. Abbiamo visto un po’ di amici andarsene dall’Italia, un sacco di band talentuose sciogliersi…è sconfortante a ripensarci. A noi ci ha salvato una buona dose di piedi per terra ed il fatto di essere sempre stati dei lavoratori, di non esserci mai fatti fregare da chi prometteva cose improbabili e di essere sempre stati convinti di fare le cose come volevamo noi. L’abbiamo visto troppe volte: sembra che una tale band stia lì lì per fare il salto di qualità…e poi non succede nulla. E’ chiaro che poi subentra la frustrazione e la diretta conseguenza è che la band si scioglie. Allo stesso modo dopo 10 anni siamo ancora qua e nella nostra “carriera” le cose sono andate sempre meglio, per cui alla fine siamo mossi da una speranza che è abbastanza radicata in noi.
Venite spesso accostati a nomi dai generi più disparati, si va dai Joy Division, ai Motorpsycho, Manic Street Preachers, fino ai Baustelle. Quali sono invece le vostre influenze?
Francesco: Siamo cresciuti negli anni 90, e da quel decennio abbiamo colto ogni influenza: dall'imprevedibilità degli arrangiamenti dei Radiohead al gusto della melodia dei Blur, fino alle escursioni rumoristiche dei Sonic Youth. Continuano a piacerci molto più quegli anni di questi: gli anni 90 erano gli anni dei bei gruppi, questi sono gli anni dei bei singoli e basta.
Comprate musica o la scaricate? Quali sono gli ultimi dischi che avete comprato/scaricato? E cosa pensate di tutti i nuovi metodi di condivisione della musica in rete?
Francesco: La condivisione della musica non è per niente sbagliata. Anzi, dovrebbe essere incrementata e gestita meglio. Il problema avviene quando -per riallacciarci al discorso di prima- l'ascoltatore si ferma alla canzone senza approfondire il gruppo. Nel mio lettore c'è di tutto: dai Mission of Burma e i Dinosaur JR (sto recuperando quel periodo) a dischi più classici tipo l'ultimo di Noel Gallagher fino ad una serie di album che ascolto alla cieca, incuriosito dalla copertina o dalle recensioni (O!The Joy, She keeps bees, Sun Wizard). Di ogni disco, se mi piace, cerco sempre di procurarmi l'originale. E lì dove la distribuzione non arriva sono arrivato a scrivere alla stessa band per chiedere una copia del loro album.
Come vedete la musica indipendente italiana negli ultimi anni? C’è qualche gruppo/musicista che apprezzate, con cui vi piacerebbe lavorare? E quali sono i vostri progetti futuri?
Francesco: La musica italiana è spezzata, e i frammenti si distanziano sempre più. Da un lato c'è la gente che riempie palazzetti e dall'altro band validissime che suonano nei piccoli club da 50-80 persone. Non c'è più una via di mezzo, forse perchè non ci sono neanche i "locali di mezzo". Personalmente mi piacerebbe lavorare con i Les Fauves (erano dei grandi, geniali, fuori dagli schemi) e attendo con molta curiosità l'album dei Farmer Sea.
Alessia: In questo momento stiamo ritornando in sala prove per meglio definire il set elettrico e lavorare sulla novità, per noi, del set acustico ed essere pronti per le prime date questo inverno. Contemporaneamente stiamo anche ricominciando a scrivere per poter presentare nuove canzoni nel corso del 2012, con una uscita a fine primavera. Siamo sempre stati abituati a presentare almeno una uscita all’anno, vogliamo continuare la tradizione.
Alessia: Siamo quattro ragazzi di Roma (Daniele Giannini, voce e chitarra, Francesco Sciarrone chitarra e tastiere, Alessia Casonato basso, Francesco Stefanini batteria), che prima di tutto e da sempre ascoltano tantissima musica e poi da una decina d’anni propongono la propria. Siamo dei trentenni o quasi, siamo figli di una generazione che è stata più fortunata ed ha raggiunto una ricchezza ed un benessere che non riusciamo ad afferrare, come se la scala sociale avesse cominciato ad andare al contrario. Siamo tutti e quattro dei lavoratori, dividiamo le nostre giornate fra le cose che ci piace fare per guadagnarci da vivere e la musica che ci piace suonare per esprimere quello che siamo, quello che proviamo, quello che viviamo.
Veniamo a questa seconda fatica, I giorni dell’Idrogeno. Che cosa è cambiato rispetto al primo album Fast Century, oltre al cantato (finalmente, aggiungo io) in italiano?
Francesco: C'è stato un intenso lavoro sulle metriche delle canzoni e soprattutto sugli arrangiamenti. Se "Fast Century" era un po' schiavo del sound del periodo in questo nuovo lavoro abbiamo sempre cercato di risolvere la canzone in maniera imprevedibile, per riuscire a catturare l'attenzione dell'ascoltatore. Abbiamo giocato con i suoni, i cambi di tempo, le accelerazioni e i rallentamenti. La frase che più ricorreva in studio era "no, così è troppo facile".
Parlate del nuovo disco come di “un ultimo atto di sfida, di orgoglio, di verità, prima della fine”, (che fra l’altro mi ricorda molto il titolo del libro di Andrea Scarabelli Suonare il paese prima che cada). Qual è il filo conduttore dell’album? Dove ci vuole portare I Giorni dell’Idrogeno? E perché la scelta di questo titolo?
Alessia: Abbiamo pensato che in questo particolare frangente storico non possiamo non fare i conti con quello che sta accadendo là fuori. Presentare un album a livello di contenuti totalmente avulso dalla situazione in cui viviamo giorno per giorno non avrebbe avuto senso: davvero abbiamo ancora bisogno di canzoni che parlano del mare, del sole, di tutte le banalità del pop italiano da classifica? I Giorni dell’Idrogeno è la cruda foto di un sentimento diffuso che vediamo fra i trentenni nostri coetanei: un misto fra rassegnazione, rabbia, speranza e disillusione, così come l’idrogeno può diventare acqua elemento vitale, se combinato con l’ossigeno, allo stesso modo può essere esplosivo, bruciando questo ossigeno, e per noi sta a rappresentare un futuro prossimo che non sappiamo ancora come sarà, se sarà una deflagrazione o se scorrerà via come acqua. Quelle che raccontiamo noi sono le basi di un cambiamento che speriamo sia molto vicino.
In realtà le vostre canzoni, mi sembrano mosse da un misto di malinconia, paura di non farcela, ad un desiderio di realizzarsi per quello che si vuole essere, e questa continua oscillazione dei testi, unita invece a dei suoni decisi, diretti e d’impatto molto forte, è ciò che vi rende più affascinanti, più veri, e più condivisibili da molti ascoltatori. C’è più disillusione o più speranza, in voi, in questo momento?
Alessia: Diciamo…a giorni alterni. Andando avanti con gli anni abbiamo dovuto ridimensionare tutte le nostre aspettative, i sogni, i traguardi, sia come persone, sia come band. Abbiamo visto un po’ di amici andarsene dall’Italia, un sacco di band talentuose sciogliersi…è sconfortante a ripensarci. A noi ci ha salvato una buona dose di piedi per terra ed il fatto di essere sempre stati dei lavoratori, di non esserci mai fatti fregare da chi prometteva cose improbabili e di essere sempre stati convinti di fare le cose come volevamo noi. L’abbiamo visto troppe volte: sembra che una tale band stia lì lì per fare il salto di qualità…e poi non succede nulla. E’ chiaro che poi subentra la frustrazione e la diretta conseguenza è che la band si scioglie. Allo stesso modo dopo 10 anni siamo ancora qua e nella nostra “carriera” le cose sono andate sempre meglio, per cui alla fine siamo mossi da una speranza che è abbastanza radicata in noi.
Venite spesso accostati a nomi dai generi più disparati, si va dai Joy Division, ai Motorpsycho, Manic Street Preachers, fino ai Baustelle. Quali sono invece le vostre influenze?
Francesco: Siamo cresciuti negli anni 90, e da quel decennio abbiamo colto ogni influenza: dall'imprevedibilità degli arrangiamenti dei Radiohead al gusto della melodia dei Blur, fino alle escursioni rumoristiche dei Sonic Youth. Continuano a piacerci molto più quegli anni di questi: gli anni 90 erano gli anni dei bei gruppi, questi sono gli anni dei bei singoli e basta.
Comprate musica o la scaricate? Quali sono gli ultimi dischi che avete comprato/scaricato? E cosa pensate di tutti i nuovi metodi di condivisione della musica in rete?
Francesco: La condivisione della musica non è per niente sbagliata. Anzi, dovrebbe essere incrementata e gestita meglio. Il problema avviene quando -per riallacciarci al discorso di prima- l'ascoltatore si ferma alla canzone senza approfondire il gruppo. Nel mio lettore c'è di tutto: dai Mission of Burma e i Dinosaur JR (sto recuperando quel periodo) a dischi più classici tipo l'ultimo di Noel Gallagher fino ad una serie di album che ascolto alla cieca, incuriosito dalla copertina o dalle recensioni (O!The Joy, She keeps bees, Sun Wizard). Di ogni disco, se mi piace, cerco sempre di procurarmi l'originale. E lì dove la distribuzione non arriva sono arrivato a scrivere alla stessa band per chiedere una copia del loro album.
Come vedete la musica indipendente italiana negli ultimi anni? C’è qualche gruppo/musicista che apprezzate, con cui vi piacerebbe lavorare? E quali sono i vostri progetti futuri?
Francesco: La musica italiana è spezzata, e i frammenti si distanziano sempre più. Da un lato c'è la gente che riempie palazzetti e dall'altro band validissime che suonano nei piccoli club da 50-80 persone. Non c'è più una via di mezzo, forse perchè non ci sono neanche i "locali di mezzo". Personalmente mi piacerebbe lavorare con i Les Fauves (erano dei grandi, geniali, fuori dagli schemi) e attendo con molta curiosità l'album dei Farmer Sea.
Alessia: In questo momento stiamo ritornando in sala prove per meglio definire il set elettrico e lavorare sulla novità, per noi, del set acustico ed essere pronti per le prime date questo inverno. Contemporaneamente stiamo anche ricominciando a scrivere per poter presentare nuove canzoni nel corso del 2012, con una uscita a fine primavera. Siamo sempre stati abituati a presentare almeno una uscita all’anno, vogliamo continuare la tradizione.
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