Questo lunedì chiacchieriamo con Ivan Cortesi, Andrea Ardigò e Davide Catoggio detto Marra de La Nevicata dell'85 che ci raccontano per filo e per segno il loro nuovo album, in uscita domani per Fumaio Records e DreaminGorilla Records ma che già potete ascoltare nella nostra recensione pubblicata poco sotto. Sentimenti e sensazioni, scogli e montagne, tante vivide immagini del vissuto della band bergamasca che ha realizzato un piccolo capolavoro. Secolo.
Dopo l'urgenza del vostro primo disco, uscito nel 2011, il secondo capitolo de La Nevicata dell'85 arriva due anni dopo, con la dovuta calma. Cosa è cambiato e cosa racchiude musicalmente Secolo di diverso rispetto al vostro esordio?
Andrea: Il primo disco è stato fatto come dici tu, con urgenza ma che non vuol dire fretta. Avevamo il bisogno impellente di mettere sul piatto tutte le idee che ci frullavano per la testa, con impulsività e senza ragionarci troppo. Infatti in poco più di un anno abbiamo scritto dodici canzoni (due delle quali rimaste fuori dal disco). Secolo è stato fatto con più calma. In due anni abbiamo scritto otto pezzi, prestando attenzione ad alcuni particolari e facendo anche una sorta di pre-produzione casalinga per capire meglio le sensazioni che suscitavano in noi le canzoni. Cose che col primo disco non avevamo fatto.
Il contenuto musicale di Secolo credo non si discosti troppo da quello del primo disco. Siamo sempre noi tre con i nostri gusti, i nostri ascolti, il nostro approccio musicale sia come singoli individui sullo strumento, sia come gruppo nel comporre un brano. Lo "stile" nevicata credo si possa riconoscere in entrambi i dischi. Il fatto che Marra sia passato dal basso alla chitarra ha dato più libertà alla batteria, unico strumento ritmico rimasto. Poi il fatto che Ivan avesse già in testa il disco ancor prima di scrivere le canzoni ha dato un grosso contributo a rendere Secolo il disco che è.
Marra: Le origini di Secolo sono da ricercare nel primo disco, nella canzone di apertura (Settimo Inverno) che mi vede non più al basso ma alla chitarra. Questa scelta nasce da una esigenza personale, dal desiderio di cambiare strumento. Ivan e Andrea sono stati ben disposti a rischiare per mantenere quel sound nato con Settimo Inverno e affrontare in modo nuovo gli arrangiamenti di tutte le canzoni a venire.
Ivan: Secolo è ovviamente la sintesi personale di questi ultimi due anni dove musicalmente abbiamo provato a perfezionare uno stile che è stato parzialmente definito e indagato col nostro primo album. Secolo in questo è la naturale evoluzione di un discorso che parla di una ricerca di compattezza, di dinamica, di tensione emotiva, di equilibri e fratture. Abbiamo esasperato questi aspetti e ovviamente abbiamo preso confidenza con essi capendo come governarli. Personalmente sento questo album più a fuoco, compatto, coerente ed essenziale. La durata dei pezzi è diminuita a vantaggio di una minor ripetitività. Di base abbiamo messo mano a tutto ciò che nell’album d’esordio non ci convinceva o che sentivamo di dover raffinare. Stesso trattamento è stato poi riservato alle liriche e al parlato. L’idea perseguita è di un’essenzialità nella scrittura, di una linea vocale che asseconda l’indole del pezzo e che esige dalle parti strumentali la stessa cosa.
Ivan: Secolo è ovviamente la sintesi personale di questi ultimi due anni dove musicalmente abbiamo provato a perfezionare uno stile che è stato parzialmente definito e indagato col nostro primo album. Secolo in questo è la naturale evoluzione di un discorso che parla di una ricerca di compattezza, di dinamica, di tensione emotiva, di equilibri e fratture. Abbiamo esasperato questi aspetti e ovviamente abbiamo preso confidenza con essi capendo come governarli. Personalmente sento questo album più a fuoco, compatto, coerente ed essenziale. La durata dei pezzi è diminuita a vantaggio di una minor ripetitività. Di base abbiamo messo mano a tutto ciò che nell’album d’esordio non ci convinceva o che sentivamo di dover raffinare. Stesso trattamento è stato poi riservato alle liriche e al parlato. L’idea perseguita è di un’essenzialità nella scrittura, di una linea vocale che asseconda l’indole del pezzo e che esige dalle parti strumentali la stessa cosa.
Questo secondo disco vi ha fatto anche evolvere come gruppo? Cosa avete imparato e che "scogli" avete affrontano nella realizzazione di Secolo?
Ivan: Ad ogni album realizzato mi sento sempre più legato ai miei compagni e implicato emotivamente. Il coinvolgimento che c’è stato con Secolo è stato importante, sentito. Questo ha permesso di spronarci reciprocamente in una logica di continua critica costruttiva al fine di perfezionare e raggiungere livelli di composizione/interpretazione sempre maggiori. Riconosco nei miei compagni una forte messa in discussione. Marra ha lasciato il suo strumento principale, il basso, per buttarsi sulla chitarra e Ardi ha modificato in modo importante il suo drumming (un uso minore dei piatti a favore di un lavoro ritmico sulle pelli in crescendo). Tutto ciò non è stato fatto casualmente ma con l’intenzionalità già detta e che ha messo al primo posto l’essenzialità esecutiva e la totale centralità del brano.
Mi piace pensare che ognuno di noi tre si sia messo a disposizione del singolo pezzo e del suo umore per creare un focus emotivo chiaro in cui ad emergere non sono le singole individualità ma un sound collettivo fatto di dialoghi silenzi, pause e crescendi comuni. Secolo è stato composto seguendo il concetto di sottrazione sonora cioè l’idea del continuare a ridurre, svuotare fino al possibile le proprie parti strumentali. Volevo restituire al silenzio un ruolo importante, rendere ariose le composizioni, segnare i pieni e i vuoti. Ciò ci ha obbligato continuamente a verbalizzare quello che ognuno di noi tre pensava e voleva rispetto al climax del pezzo dando vita ad interminabili discussioni. Alcuni amici hanno assistito increduli a questi siparietti in cui parlavamo una lingua incomprensibile ed illogica. Credo che ci abbiano preso per dei folli!
Andrea: Sicuramente un'evoluzione c'è stata, non ho mai adorato troppo i gruppi che negli anni hanno riproposto sempre la solita ricetta musicale. O sei veramente bravo o il rischio di diventare noioso è molto grosso. Abbiamo imparato, come ti dicevo prima, ad ascoltare le canzoni da fuori mentre prima per lo più ci si limitava a "sentire" quello che la canzone ti dava mentre la suonavi. In questo modo siamo riusciti ad essere più critici e abbiamo potuto capire quali cose funzionavano bene e quali no. io, ad esempio, dalla pre-produzione al disco ho completamente cambiato la parte di grancassa su una canzone, togliendo parecchi colpi. suonando non me ne ero mai reso conto, solo riascoltando il pezzo ho capito che la cassa suonata in quel modo dava quasi fastidio, appiattiva la canzone.
Parlando di scogli per me quello più grosso è stato il monossido di carbonio! Durante le registrazioni la stufa a legna che scaldava lo studio ha dato non pochi problemi. Ho passato tre giorni con perenne mal di testa e picchi di nausea. Riascoltando il disco mi rendo conto di non essere stato impeccabile ma alla fine sono riuscito a cavarmela : )
Marra: Siamo più attenti nell'ascolto d’insieme cercando di non “calpestarci” a discapito del pezzo. Il mio scoglio personale è stato quello di cambiare strumento considerando che non sarei nemmeno in grado di eseguire La canzone del sole!
Il secolo è una quantità di tempo che supera di gran lunga l'aspettativa di vita media dell'uomo, trovo che sia un titolo più che mai adatto per il monolite musicale che avete creato. Qualcosa che il tempo non scalfisce. Data la sua organicità si può chiamare "Secolo" un concept album?
Ivan: sinceramente non saprei dire se Secolo sia un concept. Riconosco invece l’esistenza di un legame invisibile, un filo rosso, che unisce e attraversa tutti i brani dell’album tale da elevarli e sublimarli in una composizione vasta e collettiva in cui si parla di tempo immobile e delle vite che in esso si articolano. Tutto questo è rappresentato da una montagna, in quanto simbolo di stratificazioni di secoli, e da una figura umana che è contenitore di emozioni e di vita.
Fin dall’inizio ho saputo che l’album doveva chiamarsi Secolo e che doveva ritrarre una montagna sconfinata con un piccolo uomo. Mi piaceva l’idea di una sproporzione e di un legame che li unisse in un tempo e in una situazione non accomodante. Non ho voluto dare centralità al tempo dell’uomo.
In che maniera Secolo si intreccia con la vita privata de La Nevicata dell'85 e più in particolare con la tua, Ivan, dato che sei tu a scrivere i testi? Che sensazioni, libri e momenti sono sublimati nel tuo songwriting?
Ivan: Ciò che scrivo proviene da ciò che vivo quotidianamente. Quel che faccio è registrare tutto quel che mi capita direttamente come protagonista o indirettamente come osservatore. Mi affascina rileggere il banale quotidiano e caricarlo di sacralità. Mi interessano i gesti le azioni a cui non diamo peso perché automatici, scontati, quotidiani e restituirgli la giusta comprensione, esasperarli. Testi come Secolo, Attuale, Diorama, Sabato vanno in questa direzione.
In Secolo è stato il ritrovarsi personalmente, in modo inaspettato e non voluto, di fronte a uno scenario selvaggio, notturno e inospitale; in questo quadro non c’era posto per la mia figura. Ricordo la sensazione di apocalisse, di dissipazione. In Attuale è la visione di una donna (una vicina di casa) che si riaffaccia alla finestra dopo mesi in cui sembrava svanita non lasciando tracce di sé dentro la sua casa. In Diorama è il ritrovare i resti di un giaciglio notturno lasciato da qualcuno nel tuo sottoscala che innesca letture e vedute nuove.
Tutte le liriche di Secolo sono debitrici di scrittori e poeti come McCarty, Steinbeck, H. Michaux, London, Borselli, Faulkner, Pavese, Ungaretti, Carnevali e della loro capacità di descrivere il reale. In Secolo c’è una sensazione di cupezza e ineluttabilità ma anche di speranza e reazione. C’è una permanenza all’interno di una situazione dolorosa, faticosa e inspiegabile. Non si sa il perché ma ci devi fare i conti, devi rapportarti ad essa, accoglierla in qualche modo. Far questo, significa in Secolo, accettare l’idea dell’essere debole, fragile, limitato e incapace di comprendere il tutto. Ammettere questo permette di entrare in un’alta e altra comprensione di sé, trovare nuovi equilibri col fuori e un proprio posto all’interno di un disegno più grande, universale. Per questo non reputo Secolo un disco negativo. Accogliere la propria finitezza, la propria relatività significa riappropriarsi di una propria imperfezione, abbracciarla e ridimensionare un proprio delirio d’onnipotenza. Infine riguardo alle influenze personali, ammetto che il lavorare dentro un servizio che opera con storie di grave marginalità mi dà innumerevoli stimoli per scrivere e ragionare.
E infine. La cover è un altro pezzo forte del disco perché riassume in maniera estremamente efficace il tema e le immagini attorno alle quali ruota questo nuovo album. A chi avete affidato l'art-work di Secolo e come è stato realizzato?
Marra: I disegni sono di Giorgio “Pio” Ferrari. L’ho conosciuto agli inizi della realizzazione dell’album. Giorgio è disegnatore ma anche un ottimo tatuatore e nelle ore passate assieme ho capito che sarebbe stata la persona giusta da coinvolgere. Vista la natura della sua professione non avrebbe faticato a rendersi interprete delle atmosfere dell'album e nemmeno delle precise richieste dell'immaginario di Ivan.
Andrea: Oltre alle tematiche e all'idea musicale Ivan aveva in testa fin da subito anche quella che sarebbe stata la copertina. Inizialmente abbiamo provato a fare tutto da soli, come con il primo disco. Pensavamo di mettere una semplice foto ma l'impatto visivo non ci lasciava pienamente soddisfatti. in cerca di un disegnatore si è fatto avanti Giorgio. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata parlando del disco, di quello che volevamo trasmettere sia a livello sonoro che visivo. gli abbiamo dato alcune indicazioni (tra cui l'utilizzo del bianco/nero, sia per la resa visiva sia come simbolo di continuità con il primo disco) e per il resto si pensava di lasciar fare a lui... poi ivan non ha resistito e gli ha mandato una sorta di "manuale" con tanto di bozzetti per la realizzazione dell'artwork. Scherzi a parte, il risultato ci è piaciuto davvero parecchio, non smetteremo mai di fargli i complimenti!
Ivan: Quando Giorgio mi ha detto “utilizzami come se fossi il tuo braccio e la tua mano” non ho esitato e l’ho subito indirizzato verso ciò che avevo in testa ovvero l’idea di rappresentare una montagna mastodontica, cupa, oscura, che occupasse quasi totalmente il fronte della copertina a discapito di una figura umana minuta schiacciata in un angolo remoto, immerso in una colata di china. Volevo un forte contributo emotivo, un’empatia immediata, una sensazione scomoda. Volevo riprodurre quella cupezza che avevo colto osservando alcune litografie di Gustav Dorè, attraverso l’utilizzo del nero denso a vantaggio di un bianco cangiante. Giorgio in questo è stato perfetto!
Da una focale ampissima, che è la copertina, si passa ad una ristretta e schiacciata nel foglio testi in cui raffigurati sono alcuni oggetti che l’uomo indossava e che prima erano visivamente impercettibili. Ora l’attenzione è su una gerla vuota - perché già piena del peso emotivo che l’uomo doveva sostenere - e su un bastone, entrambi affondati nella neve - oggetti legati alla cultura e alla tradizione contadina bergamasca - , caduti malamente come se l’uomo fosse improvvisamente scomparso e si fosse dissolto nel contesto. Restano solo loro, simboli di una secolarità antica che tenta di resistere. Mi piaceva l’idea di ingrandire questi particolari e isolare il resto. Giorgio ha fatto un grandissimo lavoro traducendo alla perfezione questo sentire e dando a Secolo il giusto scenario per animarsi.
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