Mettendo insieme le varie profezie che da giorni impazzano sul web e provando a fare due calcoli approssimativi, la fine del mondo dovrebbe oramai essere alle porte. Ma non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi, respirate profondamente e fate in modo che a dominare sia solo una buona dose di ottimismo o meglio ancora “Poptimism”. Un album incandescente quello dello scapestrato duo di Avellino che dopo un anno dalla pubblicazione dell’ep, torna con un nuovo lavoro, evidente conferma dell’ottimo stato di salute dei Culture Wars. Undici chicche folgoranti che trovano il perfetto equilibrio in un post-punk gioioso ad alto tasso percussivo. Lunghe cascate di suoni avanzano speditamente e senza indugi in una folle e corrosiva corsa fra riff a tutto fuzz, melodie trasognanti e una spontaneità che conquista. Parte il disco e “Disappointment” prende subito alla gola con un’introduzione ipnotica di batteria a fare da padrona; riff e distorsioni di chitarra scandiscono il ritmo di un brano, le cui parole sono perfette nel celare la delusione per l’attesa di un ritorno beffardo (Waiting for you to reveal yourself to me and make my day /Feelin' so bad standing in your backyard alone). Nei due brani successivi, si balocca con argute accelerazioni ritmiche e distorsioni loopate, imbevute dalla frenesia propria del punk. E così, “ Cut the wires” si scaglia agitatamente verso un passato con il quale si sente l’esigenza di tagliare i ponti, e quasi per antitesi, “ In a Daze” proietta nel futuro la possibilità di realizzazione di desideri e sogni impellenti. La strumentale “ Requiem for a drum” arieggia tra delicati arpeggi e distorsioni, affondando in un insieme sonoro tipicamente shoegaze. “Get out of my dreams”, smuove la mente con la sua massa ribollente e il passo veloce, esternandosi con una doppia voce che rende più gustoso il tutto. “Vacanza”con i suoi 58 secondi, rotola su giri di chitarra, in perenne attesa mentre aspetta che “Even if i try”, la porti via con se, nel piacevole giro di boa verso la seconda parte dell’album. Tutto funziona e più si procede nell’ascolto, maggiore diventa lo stato di coinvolgimento. È riuscito il tentativo di fondere l’irruenza sonora degli esordi , con un linguaggio pop accessibile e leggero, seppur incredibilmente maturo; un disco che unisce i vecchi amori e le nuove tentazioni , il tutto con una lucidità spietata e una forza creativa sconvolgenti. Ancora un cambio repentino di stile e il pop di “Teenage, Revisited”, in una coltre di venature rock, si innalza a ballata tanto semplice quanto toccante. Un salto indietro nel tempo per recuperare le emozioni passate di “Fader” (“I would build a time machine /just to set it on the day /we had just fallen in love”) e uno in avanti per imbattersi nella grazia di “Something I Can't Get (Infatuation)”, calibrata com’è tra le reminiscenze allucinate di un post-punk armonico e malinconie che profumano di shoegaze. Non è un caso che il punto esclamativo abbia avuto un passato come punto ammirativo, perché la conclusiva “Autocritica!” è velata da una spazialità che suscita meraviglia e che cautamente ti accompagna sotto il portone di casa. Di quando in quando, in modo assolutamente involontario, arriva una band e ti insegna qualcosa sul suo conto, e lo fa attraverso canzoni che stupiscono e migliorano ascolto dopo ascolto. Se l’Apocalisse ha realmente intenzione di rivelarsi, spero possa dare almeno il tempo ad ognuno di voi di ascoltare questo piacevole album(!).
Culture Wars
Poptimism
2012
Fallo Dischi / La Fine
Tracklist:
1. Disappointment
2. Cut The Wires
3. In A Daze
4. Requiem For A Drum
5. Get Out Of My Dreams
6. Vacanza
7. Even If I Try
8. Teenage, Revisited
9. Fader
10. Something I Can't Get (Infatuation)
11. Autocritica!
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