lunedì 2 dicembre 2013

Brioscine appena sfornate: Kubark

Chiudete gli occhi e lasciatevi incantare dalla Musica dei Kubark. Elia, Enrico, Andrea e Federico (rispettivamente: chitarra, basso, voce e chitarra, batteria - e che batteria) sono quattro ragazzi di Piacenza ("Figa!") che regalano emozioni non appena salgono sul palco suonando il loro bel Post-Rock, ora potente, aggressivo senza cattiveria, d'impatto, fluido, ora malinconico, delicato, fatto di note che si inseguono, si scontrano senza farsi male. Un Post-Rock ricco di sfumature che trasmette un'energia degna di essere vissuta sulla propria pelle. Quindi vi dico subito che dovete vederli live, se - purtroppo per voi - non ne avete avuto ancora il piacere. Lo scorso Venerdì 8 Novembre ho avuto l'onore di scambiarci due gradevoli chiacchiere in occasione del loro concerto in quel del Controsenso. Sono persone che sanno quello che fanno, e dicono, credendo ancora nella buona Musica. Non è poco, fidatevi. Complimentoni ai Kubark! (Foto di Angelica Gallorini)


Indipendentemente da quelle che saranno le mie domande: pensate a qualcosa che vorreste vi fosse chiesto perché ritenuto importante per voi.Questa è difficile eh, siamo dei novellini con le interviste!
Enrico: "Quanto è difficile portare avanti un gruppo". Siamo sempre in contatto con altri musicisti, altri gruppi e molti di loro, nonostante abbiano un progetto tanto bello quanto interessante, dopo un po' non ce la fanno più per vari motivi: chi ha la morosa, chi è stanco, chi ha il lavoro, chi non gliene frega niente, chi vorrebbe fare ma non ci riesce. Penso sia una dinamica che spezza un sacco di band super interessanti. Come è successo per esempio ai Dyskinesia, una band di amici più o meno della nostra scena. E ce ne sono molte altre che magari ti fanno il disco bellissimo e poi, per una menata o un'altra, non riescono ad andare avanti senza motivi apparenti. Questo succede per questioni di esigenze. Mi mette angoscia e tristezza, e il "punto di stallo" mi spaventa anche tanto, sinceramente: stai arrivando in alto, sei felice e stai bene, perché senti che attraverso la tua Musica sei riuscito a scrivere qualcosa che a parole non riuscivi a esprimere, ma non riesci a concretizzare quello che stai facendo. In questo periodo della mia vita vedo che succede molto spesso: è come se non si trovasse il coraggio, la forza di affrontare le cose.
Elia: "Quanto conta l'immagine per un gruppo". Però non saprei darti una risposta perché speravo che lo facesse uno di loro!
Enrico: È un discorso di coerenza. Nel momento in cui sali sul palco, qualcuno ti vuole guardare: curare un certo tipo di immagine, purché ti rispecchi, è anche una forma di rispetto. Sul palco puoi essere chi e cosa vuoi, e forse è questa la cosa più bella, ché sennò staresti sempre in studio e non faresti mai date in giro. Dovresti riuscire a tirar fuori quello che non riusciresti a tirar fuori altrimenti. Anche nei vestiti si può riscontrare un'immagine di coerenza della tua band: faccio un certo tipo di Musica, mi pongo in un certo modo; e queste sono scelte che un gruppo fa. Che poi ci siamo concentrati sui vestiti, ma secondo me c'è una serie di dinamiche incredibili: noi per esempio abbiamo sempre curato l'aspetto estetico, dalle grafiche ai fliers, perché ci abbian sempre tenuto molto.

Ottimo, ottimo. Cominciamo con le mie curiosità. Chi sono i Kubark e perché sono nati.
Enrico: Io suonavo in un'altra band, e ogni tanto mi capitava di fare qualche data con altri gruppi a fare cover. Avevo conosciuto Federico in altre situazioni: è un batterista molto bravo, e sapevo già dove andavo a parare con lui. Poi ho conosciuto Elia, abbiamo cercato di fare una band insieme ma non aveva funzionato perché si trattava di un progetto abbastanza pesante e lui era molto frocio per farne parte; in ogni caso comunque mi era piaciuto. Alla fine, ho conosciuto Andrea perché sapevo che cantava. Ci siamo ricontattati, e abbiamo iniziato a fare un po' di prove insieme.
Elia: Io e Federico abbiamo fatto il liceo insieme, ci conosciamo da mille anni. Mi aveva chiamato con il gruppo in cui suonava lui per fare un po' di Noise ma erano troppo pesanti per quello che volevo fare io. Dopo tre, quattro prove ci siamo guardati in faccia come per dire "Via ragazzi basta, che così non va bene". Io avevo da parte qualche giro di chitarra, e ci siamo ritrovati tra di noi per fare qualcosa insieme: con la scoperta di avere sia il batterista che il cantante abbiamo deciso di mettere su il gruppo. Saranno passati sì e no cinque anni ormai.


Cosa non vorranno diventare i Kubark - tra non so quanto tempo?
Andrea: Metal Frocio (ed è stata acclamata come miglior risposta). È un'etichetta che ci siamo sentiti affibbiare.

Quali sono le componenti fondamentali di una canzone per essere definita tale?
Enrico: Non so parlarti in generale, mi rapporto sempre alla mia esperienza che sto vivendo in questa band. Di conseguenza ti dico che non c'è una regola in generale, non è il mio mestiere, non sono un compositore, nessuno di noi lo è; avevamo iniziato in un modo e stiamo cercando ora di proseguire in un altro, che probabilmente ci porterà qualche delusione, e qualche "passo falso". Una cosa che ho capito è che, secondo me, la canzone deve avere personalità, non deve annoiare e deve essere per l'ascoltatore un qualcosa di non troppo difficile, perché può diventare pesante.
Andrea: Scrivere un pezzo di otto minuti con tante atmosfere al suo interno è un po' come fare un film, raccontare una storia completa. Tante volte ci siamo anche chiesti se sarebbe stato il caso di fare la canzone che fosse una persona, quella cosa lì e basta; non c'è bisogno di raccontare tutta una storia completa, perché magari uno non ha nemmeno voglia di farsi tutto il viaggio, magari ha solo voglia di essere incazzato, oppure tranquillo. L'approccio quando scrivi cambia un casino. Scrivi pezzi dove magari dai importanza a un giro che poi non sviluppi come avresti dovuto fare.

Riguardo i vostri brani: come avviene la composizione? Jam sessions, quindi improvvisazione, riff portati in sala prove…?Enrico: Ora non facciamo più jam sessions, anche se una volta i pezzi li scrivevamo proprio così, e venivano fuori tutte cose che per noi erano nuove, perché non sapevamo come suonavamo. Adesso, invece, è tutto diverso, perché, quando ci mettiamo a scrivere, so esattamente dove stanno andando a parare gli altri. Gli ultimi lavori sono molto basati su Andrea, nel senso che abbiamo cercato di riarrangiare alcuni pezzi scritti parzialmente da lui, dove molta importanza ricade sulla sua chitarra e sulla sua voce; c'è un certo clima dietro, ed è stato veramente complicato: lui è fatto in un modo, noi siamo fatti in un altro, quindi è tosto mettere nero su bianco quello che lui cerca di dire. Ultimamente stiamo provando diversi metodi di scrittura. Comunque, nasce tutto in sala prove: lavoriamo sempre insieme per produrre qualcosa che sia frutto di tutti noi.
Andrea: E il problema più grosso per noi è trovare il modo di mettere la voce sui pezzi.


L'affiatamento in un gruppo serve, e non poco, anzi, altrimenti potrebbe diventare difficile convivere. Che aria tira in casa Kubark? C'è qualcuno che porta i pantaloni? Andate d'amore e d'accordo? Vi scannate, che ne so, durante i live/tour, visto che passate molto tempo insieme?
Elia: Portiamo tutti i pantaloni stretti! (scherzando). Tra noi si discute un sacco, si litiga a volte.
Enrico: Ognuno tira a modo suo verso la sua parte, secondo me. Tutti hanno un proprio ruolo che è assolutamente inscindibile da quello che è la band, ed è il giusto equilibrio: se mancasse uno di questi elementi non si potrebbe più andare avanti, proprio per una questione di equilibrio che si è formato. Magari puoi anche riformarlo e gestirlo in altro modo, ma quello che siamo adesso è proprio frutto di questa cosa: è come se camminassimo uno dietro l'altro su un filo, e appena uno scureggia cade.
Elia: Che bella immagine che le hai dato! Comunque, avendo anche noi tante cose da fare, nella vita vera, c'è il momento in cui qualcuno di noi è più impegnato a lavoro, e allora sono gli altri a tirare di più la baracca, così riusciamo a compensarci e aiutarci a vicenda.
Enrico: Dopo cinque anni che suoniamo insieme sappiamo di cosa abbiamo bisogno per funzionare. Quando qualcosa viene a mancare da parte di qualcuno, di conseguenza uno di noi deve in un qualche modo sostituirlo. Altrimenti mi accorgo che viene a mancare qualcosa a discapito di tutti.

Ascoltando Ulysses, ultimo vostro Ep (e ne approfitto per complimentarmi, sia per le canzoni sia per l'intero artwork - che ho apprezzato moltissimo), mi sembra di ritrovarmi a camminare per una città metropolitana e sentire a momenti il battito del suo cuore, la caoticità del traffico nelle ore di punta, persone che camminano, la tranquillità della sera che subito viene sovrastata da un uragano di suoni energici. Città, massa, anonimità, movimento: concetti molto espressionistici. Mi dite com'è nato Ulysses, insieme ai suoi brani e alla scelta dei rispettivi titoli?
Andrea: I pezzi sono nati uno dopo l'altro senza che avessero un filo conduttore (in realtà non ce l'hanno), e cercare un titolo è sempre molto difficile. Alla fine avevamo cinque pezzi scritti e uno un po' "casuale" - diciamo scritto giusto per entrare in sala prove, e strumentale - che però ci aveva convinti. Abbiamo pensato a questo titolo, Ulysses, perché era un po' sfigato, e glielo abbiamo dato per antisfiga; abbiamo poi pensato di chiamare tutto l'ep con tale nome. Per quanto riguarda anche l'artwork, il disco si concentra molto sull'anonimato: ho cercato in tutti i modi di contattare un po' di persone che lavorassero anch'esse su quest'aspetto. Yamasaki Ko-ji, fotografo Giapponese, è stato molto disponibile fin da subito rivelando un certo entusiasmo per il progetto. Comunque, i testi non parlano di questo argomento qua, ne sono staccati. Mi piace l'idea che le parole vengano colte anche singolarmente: si sente una sola parola, in un momento specifico della canzone, perché fondamentale rispetto a quelle dette in precedenza. In generale, i testi non sono mai scritti dall'inizio alla fine: sono frammenti che scrivo nel tempo che vengono poi uniti, come un collage.


Cambiamenti, miglioramenti, maturità tra Ulysses e i nuovi brani Collapse The Day e Blind Games.
Enrico: Dopo Ulysses abbiamo fatto un po' di tour, e abbiamo fatto anche un po' cagare, nel senso che mentre eravamo in giro per suonare ci siamo divertiti, ci beccavamo in sala solo per provare i pezzi in vista dei concerti, e di conseguenza abbiamo scritto poco in quel periodo lì. Ad un certo punto abbiamo detto "Oh ragazzi, FIGA! Abbiamo fatto cagare" e ci siamo messi sotto a scrivere e… Delusione. Perché con i primi pezzi che scrivevamo eravamo un po' arrugginiti, c'era qualcosa che non andava. Per quanto mi riguarda, sono molto più ispirato dalla Musica Americana che da quella Inglese. E ultimamente, in America, vanno molto queste Sessions, riprese dal vivo in studio di registrazione che, per farsi pubblicità e per farne al gruppo, li chiama per suonare ed essere ripresi live; un sacco di band hanno fatto così. Ci siamo detti "Ma perché qui non lo fa nessuno? Sarà uno sbattimento? Proviamoci: due microfoni marci, è una stronzata".
Andrea: Era passato "tot. tempo" e avevamo solo due pezzi pronti, che ci sarebbero diventati antipatici prima di scrivere un disco: o li registravamo in quel periodo per conto loro, o li buttavamo via.
Enrico: Sento quei pezzi lì molto diversi da Ulysses: anche se fossero registrati nello stesso modo, mi suonerebbero comunque molto lontani dai pezzi vecchi. Abbiamo pensato: "Registriamo questa cosa, buttiamo lì un video, iniziamo a fare una prova con questa nuova "testa" di iniziare a pensare a una strofa e a un ritornello, e vediamo come la gente reagisce". Credevamo fosse una stronzata, invece è diventata una cosa complicatissima, dall'organizzazione del tutto (e qui volano termini come "Quinte - prima armate, poi abbiamo scoperto essere controventate") alla realizzazione del video. La cosa più facile, tra tutto questo, era suonare i pezzi: ma non potevi sembrare cretino, perché ovviamente non te lo potevi permettere visto che era tutto ripreso!
Elia: Quando abbiamo finito questa session, dopo aver passato una settimana chiusi lì dentro, volevamo tipo morire! E' stato veramente, veramente impegnativo.


Tra l'altro, il video della Downgrade Session (di appunto questi due nuovi brani) è perfetto nella sua semplicità. Dove l'avete girato? Che il posto, di cui si intravedere anche il fuori, sembra molto bello.
Enrico: La storia del posto è questa. Ho uno zio, fratello di mio padre, che si chiama Enrico Crippa, come me, che ha sposato un'avvocata (!) cicciona e insopportabile ("Vabè, non scrivere 'ste cose" - "E invece scrivile, scrivile ti prego!" gli altri in coro - "Ok tanto non me ne frega un cazzo") ultraprotettiva con i due figli che hanno avuto. Quindi ha costruito all'interno di casa sua una specie di "castello" per i bambini, che ormai son cresciuti anche perché uno già guida. Hanno una casa a Piacenza, la loro città, dove c'è di tutto, e in più una casa in campagna (fatta molto bene visto che mio zio è architetto) che è devastante, con piscina, campo da calcetto, lago per pescare. Una casa che in realtà sembra normale, ma che dentro è un regno. Per questa session, di Collapse The Day e Blind Games, avevamo bisogno di stare in un posto dove nessuno ci avrebbe dato noia per poter suonare a volumi indecenti, trascorrerci un po' di tempo e costruire una specie di regia, perché comunque andava tutto registrato. Abbiamo pensato di andare lì, e abbiamo dovuto risistemare tutto da zero. Era un posto trashissimo: parete viola con le stelline luminose, il calcio-balilla, un ping pong nel mezzo, i pesci di quelli che parlano e muovono la coda attaccati al muro, la città che si illumina, locandine di film erotici. Siamo andati lì in cinque, noi quattro e mio fratello, e in una settimana l'abbiamo rivoltato e fatto diventare un posto che comunque funzionava, portando un po' di cose dalla nostra sala prove, andando a prendere in giro ampli di amici, sporcando in giro, lasciando in giro lattine di birra per far sì che diventasse più vissuto. Ed è stato un macello, perché abbiamo dovuto prima distruggere tutto, per poi rimontarlo. Una super menata! Elia: Per quanto riguarda il video, girato in piano sequenza, abbiamo chiamato Umberto Nicoletti che ha curato anche quello di VIXI - e lui è davvero un professionista.
Andrea: È bello che tu accenni alla semplicità, perché è una cosa che abbiamo cercato molto per questi ultimi due pezzi, e per la session in generale. Anche se non si è rivelato semplicissimo, perché c'è stato tutto un lavoro prima di riuscire a smagrirsi così tanto.


Il concerto che vi ha cambiato la vita: c'è già stato o deve ancora venire?
Enrico: Per me la domanda che funziona meglio è "i concerti più belli che avete visto negli ultimi due anni": a questa so rispondere, all'altra no, perché il concerto della vita significa veramente tanto, e spero che ancora debba venire. Non ti dirò i Mogwai, ma i Godspeed You Black Emperor, freschi di reunion: mi è piaciuto molto averli visti dal vivo. Poi Chelsea Wolfe a Milano, Bon Iver a Ferrara e i Nine Inch Nails con il loro concerto veramente meraviglioso.
Federico: Anche io ho visto Bon Iver, all'Alcatraz di Milano però. E poi il Boss, Bruce Springsteen. Elia: Io sono il mago dei "concerti belli persi", infatti non potrei risponderti a questa domanda. C'è un concerto che mi ha cambiato, ed è stato quello dei Verdena a Travo, per la Festa della Birra, quando ero in seconda superiore. Ero impazzito completamente.
Andrea: L'altro giorno stavo ripensando che una delle robe più sconvolgenti che io abbia mai visto dal vivo è stato Greg Dulli che ha suonato Helter Skelter con gli Afterhours, un concertone a Bologna anni fa. E i Radiohead a Bologna. Belli, molto belli.

Come vivete i cambi generazionali legati anche alle perdite, i cambiamenti di stile - a volte deludenti - di formazione, riguardanti la scena musicale? Perché io, purtroppo o per fortuna, mi scopro ogni giorno sempre più nostalgica...
Andrea: I vecchi devono morire, questa è la regola, ed è la natura.
Enrico: Secondo me ha ragione lui: che il vecchio muoia, è il suo percorso, ed è il più normale che ci sia. Tanti artisti, invecchiando, rischiano di diventare vergognosi. O vai in giro e porti i tuoi pezzoni per dare la possibilità ai giovani di sentirli, o sennò fai altro, aprendo uno studio di registrazione per esempio, o diventando un produttore. Hai fatto successo, carriera, soldi, hai una moglie, sei una rockstar: fai in modo che quello che hai ancora da dare sia utile, e levati dai coglioni nel modo giusto. Federico: Il problema è che non c'è nessuno a cui lasciare lo scettro, al giorno d'oggi: non c'è un gruppo uscito negli ultimi dieci anni che rimarrà nella Storia e farà Scuola come i Nirvana.


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