Settembre: l'estate è ahimé, ormai finita e la routine quotidiana è tornata ad essere quella di sempre. Anche se iniziare la settimana non è mai così semplice come può sembrare, non disperatevi, perché noi di Breakfast Jumpers sappiamo come tenervi compagnia. Questo Lunedì le Brioscine sì, sono appena sfornate come sempre, ma dal vivo. Ebbene sì, dal vivo! Con i Fast Animals and Slow Kids da Perugia prima del loro concerto a Prato il 2 Settembre. Grazie alla collaborazione con il Controsenso, subito dopo il soundcheck ho avuto il piacere di intervistare i quattro componenti del gruppo, Aimone (voce e chitarra), Jacopo (basso), Alessio (batteria) e Alessandro (chitarra) in attesa della serata che stava loro aspettando. Più che un'intervista è stata una chiaccherata, una bella chiaccherata, in cui curiosità e voglia, tanta voglia, di interagire dominavano piacevolmente la scena.
Seduti sulle gradinate dietro al palco, ecco cosa ci siamo detti:
Chi erano i Fast Animals and Slow Kids alla nascita del progetto? Cosa si aspettavano dal futuro?
I Fast Animals and Slow Kids erano un gruppo di ragazzi che militavano in tante altre band, avevano tanti altri strumenti, si annoiavano un botto e che quindi hanno deciso di mettere su una band per divertirsi, una band cazzona, di quelle che vai in sala prove e fai solo quello che ti viene in mente. Negli altri nostri gruppi c’era un’impostazione più seria; per i FASK invece è nata completamente per svago. Avevamo finito le superiori ed era un periodo relativamente morto: nella nostra città, Perugia, non c’era niente da fare, e quindi abbiamo detto “Dai, chiudiamoci in sala prove e divertiamoci!”. Pensavamo che tutto sarebbe rimasto chiuso lì dentro, non che avrebbe preso una connotazione più seria come adesso che sta diventando un lavoro.
Quali sono stati gli eventi più importanti che hanno determinato il vostro cambiamento? Sicuramente la pubblicazione del secondo album e il fatto che già da quest’estate il nostro tour è molto più sostanzioso, con date sempre più numerose alle quali c’è sempre più gente che ci segue, permettendoci di avere un giro nostro. Per noi è fondamentale la compartecipazione delle persone che ci aiutano a rendere i concerti ancora più belli proprio perché puntiamo molto sul live. È esattamente ora il momento saliente: fino a pochi mesi fa tutto rimaneva immutato.
Come, quando, vi siete avvicinati alla Musica? Quali sono i gruppi che vi hanno ispirato, insegnato, spronato?
Aimone: Io mi sono avvicinato alla Musica grazie a mio fratello di otto anni più grande. A dodici anni ho iniziato a suonare la batteria e a quattordici ero in tour in Spagna con Iacopo, chitarrista della band di cui facevo parte anche io come batterista. Per me è iniziato tutto da qui, dal mondo del Punk e dai suoi tanti gruppi, tra i più importanti per me i NOFX.
A livello di gruppo siamo diventati una macchina unitaria che va alla ricerca di band underground. In questo ultimo periodo abbiamo dei gruppi di riferimento che abbiamo divorato in furgone, come i Neutral Milk Hotel e i Replacements.
In che modo avviene la composizione di un vostro brano? Date priorità ai testi, alla parte strumentale oppure la nascita di entrambi prende forma contemporaneamente?
Entrambi hanno priorità perché riteniamo che in una canzone siano fondamentali. Noi partiamo sempre dalla musica: in base a questa iniziamo a canticchiare qualcosa e dopo componiamo il testo che viene plasmato sulla parte strumentale. Ultimamente è l’Orsetto (Alessandro) che si occupa della parte compositiva e noi altri tre collaboriamo in seguito per l’arrangiamento. Per quanto riguarda i testi, invece, principalmente me ne occupo io (Aimone).
Che trasformazione avete vissuto fra Cavalli, album d’esordio prodotto da Andrea Appino (The Zen Circus) e registrato da Giulio Ragno Favero (Il Teatro degli Orrori) e Hybris, che vede la partecipazione di Nicola Manzan? Cosa vi hanno lasciato di importante, diverso, costruttivo?
Dopo il primo disco abbiamo capito come si sta in studio: ci siamo avvicinati di più a quel mondo, a noi sconosciuto, ci siamo accorti che non fa al caso nostro, ed abbiamo deciso di non tornarci più. È per questo che abbiamo registrato il secondo disco per conto nostro, spersi in una casetta tra l’Umbria e la Toscana, di fronte al lago di Montepulciano: un’esperienza stupenda. Abbiamo capito che registrare un disco è sinonimo di avere tanta testa e tanta voglia, e non per forza lo studio gigantesco ti permetterà di ottenere il risultato desiderato. Sia Appino che Favero ci hanno lasciato il modo professionale di porsi di fronte alla musica: la loro è un’impostazione del tutto lavorativa, fondamentale, per quanto forse possa risultare strano, in un ambiente artistico. Manzan per noi è un amico, in cui noi abbiamo avuto fiducia, che ha collaborato nella composizione dei violini seguendo quello che avevamo in mente noi. L’impostazione risulta quindi diversa: da una parte c’era il produttore, da quest’altra invece c’è stata una collaborazione. Se dobbiamo invece comparare le due produzioni, Hybris è stato prodotto da Andrea Marmorini (fonico del gruppo dal tour di Cavalli e chitarrista dei La Quiete), che ha contribuito con le sue idee e scelte, le quali hanno rivoluzionato il sound del disco.
Parliamo ora del vostro primo singolo tratto da Hybris, A cosa ci serve, che voi descrivete così: “È una canzone che parla di quando fai 400 ore di prove a settimana, di quando vendi la scatole dei Lego per pagarti uno strumento, di quando sorridi con due denti rotti”. E poi paura di essere in trappola, rassegnazione, mancanza, tristezza, la speranza che se ne va, così come l’amore, per lasciare posto alla morte. Secondo me il video rispecchia ciò. Voi cosa ci dite a riguardo?
In realtà è un po’ tutto: dipende molto dalle sensazioni che si prova guardandolo, e ovviamente questo aspetto cambia da persona a persona. Molti la vedono come una canzone d’amore, ad esempio, ma il suo significato può essere esteso a un rapporto d’amicizia, a quello che si viene creando tra la band e il pubblico, alla vita stessa in generale. Abbiamo composto questo pezzo in un periodo in cui noi, a livello di band, eravamo un po’ in tensione: andavamo in giro in tour, ma le cose non crescevano e ci trovavamo sempre a lottare contro tante difficoltà e impressioni che la vita ti porta. In questa canzone vi è una modalità un po’ depressa e disperata di vedere la vita come un continuare a combattere, a crederci, anche se in realtà molto spesso quello che ottieni è polvere. Anche se il mondo ti crolla addosso devi andare avanti e combattere: disperazione di fondo ma anche, e soprattutto, speranza di riuscire.
Un pasto al giorno è la traccia che apre l’album, e secondo me non potevate scegliere canzone migliore per comunicare il giusto spirito di gruppo: “E se nessuno/ascolterà/e se nessuno/ci vorrà/uniti e forti/per noi stessi/ fino alla fine”. Il vostro pasto al giorno siete proprio voi, insieme alla vostra Musica. Ho avuto intuito?
È esattamente così! Questo disco si basa sul concetto dell’avere forza rispetto a un domani funesto. Restare uniti, compatti, farsi coraggio insieme perché si è più forti, e andare avanti anche se ci sarà un solo pasto, anche se il futuro ti riserva una scatoletta di tonno. Alla fine di Cavalli volevamo fare un disco in cui avremmo detto tutto quello che ci era successo e come noi volevamo reagire a ciò, e il risultato è Hybris, un disco triste ma carico di speranza.
Curiosità: la copertina di Hybris mi fa pensare a una dimensione surreale, onirica, da interpretare, quasi come se fosse un quadro di Dalì, Kush, e perché no Friedrich. Ci raccontate la sua storia?
L’idea principale sì, è proprio quella del Surrealismo, però in realtà è un tributo (sì, vogliamo ufficializzare la cosa) ad un disco di una band hardcore canadese, i Propagandhi, che graficamente ci ha fatto impazzire: si tratta di Supporting Caste. La cosa particolare che abbiamo ripreso da questo disco è che ogni elemento in copertina corrisponde ad uno nel testo di ogni brano: la formica è Combattere per l’incertezza, il sole è Un pasto al giorno, i Lego sono Dove sei, lo skyline che si vede dietro è Calce. Ognuno risulta quindi avere un significato proprio.
Il 9 Maggio non è stato un bel giorno per voi, causa furto della strumentazione. Com’è per un musicista essere denudato dal proprio strumenti? Il supporto ricevuto da altri gruppi, fan, amici, vi è stato d’aiuto?
Per una band al nostro livello non ritrovare gli strumenti sarebbe stata una tragedia, tanto da smettere di suonare, perché sono tutto. Molti di quelli strumenti li abbiamo vinti con l’Italia Wave: se noi non li avessimo vinti non avremmo potuto permetterci altre strumentazioni per progredire nel suono, la cui ricerca sta alla base di un gruppo. Erano gli strumenti di una vita. Anche il livello affettivo ha giocato il suo ruolo, specialmente per Orsetto (Alessandro), visto che la sua chitarra ha un suono unico. Il supporto ricevuto è stato incredibile, veramente incredibile, anche perché non ce lo saremmo mai e poi mai aspettato; ti fa capire che in realtà ci sono persone che ti ascoltano e stanno dalla tua parte. Una cosa positivamente scioccante.
Seduti sulle gradinate dietro al palco, ecco cosa ci siamo detti:
Chi erano i Fast Animals and Slow Kids alla nascita del progetto? Cosa si aspettavano dal futuro?
I Fast Animals and Slow Kids erano un gruppo di ragazzi che militavano in tante altre band, avevano tanti altri strumenti, si annoiavano un botto e che quindi hanno deciso di mettere su una band per divertirsi, una band cazzona, di quelle che vai in sala prove e fai solo quello che ti viene in mente. Negli altri nostri gruppi c’era un’impostazione più seria; per i FASK invece è nata completamente per svago. Avevamo finito le superiori ed era un periodo relativamente morto: nella nostra città, Perugia, non c’era niente da fare, e quindi abbiamo detto “Dai, chiudiamoci in sala prove e divertiamoci!”. Pensavamo che tutto sarebbe rimasto chiuso lì dentro, non che avrebbe preso una connotazione più seria come adesso che sta diventando un lavoro.
Quali sono stati gli eventi più importanti che hanno determinato il vostro cambiamento? Sicuramente la pubblicazione del secondo album e il fatto che già da quest’estate il nostro tour è molto più sostanzioso, con date sempre più numerose alle quali c’è sempre più gente che ci segue, permettendoci di avere un giro nostro. Per noi è fondamentale la compartecipazione delle persone che ci aiutano a rendere i concerti ancora più belli proprio perché puntiamo molto sul live. È esattamente ora il momento saliente: fino a pochi mesi fa tutto rimaneva immutato.
Come, quando, vi siete avvicinati alla Musica? Quali sono i gruppi che vi hanno ispirato, insegnato, spronato?
Aimone: Io mi sono avvicinato alla Musica grazie a mio fratello di otto anni più grande. A dodici anni ho iniziato a suonare la batteria e a quattordici ero in tour in Spagna con Iacopo, chitarrista della band di cui facevo parte anche io come batterista. Per me è iniziato tutto da qui, dal mondo del Punk e dai suoi tanti gruppi, tra i più importanti per me i NOFX.
A livello di gruppo siamo diventati una macchina unitaria che va alla ricerca di band underground. In questo ultimo periodo abbiamo dei gruppi di riferimento che abbiamo divorato in furgone, come i Neutral Milk Hotel e i Replacements.
In che modo avviene la composizione di un vostro brano? Date priorità ai testi, alla parte strumentale oppure la nascita di entrambi prende forma contemporaneamente?
Entrambi hanno priorità perché riteniamo che in una canzone siano fondamentali. Noi partiamo sempre dalla musica: in base a questa iniziamo a canticchiare qualcosa e dopo componiamo il testo che viene plasmato sulla parte strumentale. Ultimamente è l’Orsetto (Alessandro) che si occupa della parte compositiva e noi altri tre collaboriamo in seguito per l’arrangiamento. Per quanto riguarda i testi, invece, principalmente me ne occupo io (Aimone).
Che trasformazione avete vissuto fra Cavalli, album d’esordio prodotto da Andrea Appino (The Zen Circus) e registrato da Giulio Ragno Favero (Il Teatro degli Orrori) e Hybris, che vede la partecipazione di Nicola Manzan? Cosa vi hanno lasciato di importante, diverso, costruttivo?
Dopo il primo disco abbiamo capito come si sta in studio: ci siamo avvicinati di più a quel mondo, a noi sconosciuto, ci siamo accorti che non fa al caso nostro, ed abbiamo deciso di non tornarci più. È per questo che abbiamo registrato il secondo disco per conto nostro, spersi in una casetta tra l’Umbria e la Toscana, di fronte al lago di Montepulciano: un’esperienza stupenda. Abbiamo capito che registrare un disco è sinonimo di avere tanta testa e tanta voglia, e non per forza lo studio gigantesco ti permetterà di ottenere il risultato desiderato. Sia Appino che Favero ci hanno lasciato il modo professionale di porsi di fronte alla musica: la loro è un’impostazione del tutto lavorativa, fondamentale, per quanto forse possa risultare strano, in un ambiente artistico. Manzan per noi è un amico, in cui noi abbiamo avuto fiducia, che ha collaborato nella composizione dei violini seguendo quello che avevamo in mente noi. L’impostazione risulta quindi diversa: da una parte c’era il produttore, da quest’altra invece c’è stata una collaborazione. Se dobbiamo invece comparare le due produzioni, Hybris è stato prodotto da Andrea Marmorini (fonico del gruppo dal tour di Cavalli e chitarrista dei La Quiete), che ha contribuito con le sue idee e scelte, le quali hanno rivoluzionato il sound del disco.
Parliamo ora del vostro primo singolo tratto da Hybris, A cosa ci serve, che voi descrivete così: “È una canzone che parla di quando fai 400 ore di prove a settimana, di quando vendi la scatole dei Lego per pagarti uno strumento, di quando sorridi con due denti rotti”. E poi paura di essere in trappola, rassegnazione, mancanza, tristezza, la speranza che se ne va, così come l’amore, per lasciare posto alla morte. Secondo me il video rispecchia ciò. Voi cosa ci dite a riguardo?
In realtà è un po’ tutto: dipende molto dalle sensazioni che si prova guardandolo, e ovviamente questo aspetto cambia da persona a persona. Molti la vedono come una canzone d’amore, ad esempio, ma il suo significato può essere esteso a un rapporto d’amicizia, a quello che si viene creando tra la band e il pubblico, alla vita stessa in generale. Abbiamo composto questo pezzo in un periodo in cui noi, a livello di band, eravamo un po’ in tensione: andavamo in giro in tour, ma le cose non crescevano e ci trovavamo sempre a lottare contro tante difficoltà e impressioni che la vita ti porta. In questa canzone vi è una modalità un po’ depressa e disperata di vedere la vita come un continuare a combattere, a crederci, anche se in realtà molto spesso quello che ottieni è polvere. Anche se il mondo ti crolla addosso devi andare avanti e combattere: disperazione di fondo ma anche, e soprattutto, speranza di riuscire.
Un pasto al giorno è la traccia che apre l’album, e secondo me non potevate scegliere canzone migliore per comunicare il giusto spirito di gruppo: “E se nessuno/ascolterà/e se nessuno/ci vorrà/uniti e forti/per noi stessi/ fino alla fine”. Il vostro pasto al giorno siete proprio voi, insieme alla vostra Musica. Ho avuto intuito?
È esattamente così! Questo disco si basa sul concetto dell’avere forza rispetto a un domani funesto. Restare uniti, compatti, farsi coraggio insieme perché si è più forti, e andare avanti anche se ci sarà un solo pasto, anche se il futuro ti riserva una scatoletta di tonno. Alla fine di Cavalli volevamo fare un disco in cui avremmo detto tutto quello che ci era successo e come noi volevamo reagire a ciò, e il risultato è Hybris, un disco triste ma carico di speranza.
Curiosità: la copertina di Hybris mi fa pensare a una dimensione surreale, onirica, da interpretare, quasi come se fosse un quadro di Dalì, Kush, e perché no Friedrich. Ci raccontate la sua storia?
L’idea principale sì, è proprio quella del Surrealismo, però in realtà è un tributo (sì, vogliamo ufficializzare la cosa) ad un disco di una band hardcore canadese, i Propagandhi, che graficamente ci ha fatto impazzire: si tratta di Supporting Caste. La cosa particolare che abbiamo ripreso da questo disco è che ogni elemento in copertina corrisponde ad uno nel testo di ogni brano: la formica è Combattere per l’incertezza, il sole è Un pasto al giorno, i Lego sono Dove sei, lo skyline che si vede dietro è Calce. Ognuno risulta quindi avere un significato proprio.
Il 9 Maggio non è stato un bel giorno per voi, causa furto della strumentazione. Com’è per un musicista essere denudato dal proprio strumenti? Il supporto ricevuto da altri gruppi, fan, amici, vi è stato d’aiuto?
Per una band al nostro livello non ritrovare gli strumenti sarebbe stata una tragedia, tanto da smettere di suonare, perché sono tutto. Molti di quelli strumenti li abbiamo vinti con l’Italia Wave: se noi non li avessimo vinti non avremmo potuto permetterci altre strumentazioni per progredire nel suono, la cui ricerca sta alla base di un gruppo. Erano gli strumenti di una vita. Anche il livello affettivo ha giocato il suo ruolo, specialmente per Orsetto (Alessandro), visto che la sua chitarra ha un suono unico. Il supporto ricevuto è stato incredibile, veramente incredibile, anche perché non ce lo saremmo mai e poi mai aspettato; ti fa capire che in realtà ci sono persone che ti ascoltano e stanno dalla tua parte. Una cosa positivamente scioccante.
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